Secondo le più recenti evidenze scientifiche, è necessario informare correttamente i consumatori affinché l’immagine negativa del grasso del latte perda sempre più consistenza.

SOMMARIO USCITA 98:

  • Le raccomandazioni nutrizionali
  • I grassi del latte
  • Le proprietà dei grassi del latte: conclusioni

Le raccomandazioni nutrizionali, sia nazionali che internazionali, dagli anni 80 in poi sono caratterizzate da una particolare attenzione sull’apporto di grassi in generale, e più particolare ancora sulla quota proveniente dai grassi saturi. Questa raccomanda­zione è certamente figlia del Seven Country Study, lo studio di Ancel Keys dal quale è derivato il concetto, ormai diffuso, di dieta mediterranea, che identificava nei grassi – ed in particolare nei grassi saturi – la principale causa di colesterolemia e di mortali­tà cardiovascolare (1).

Effettivamente la popolazione occidentale consuma una gran­de quantità di prodotti animali, di grassi in generale e soprattutto di grassi saturi,  e in Europa, con l’eccezione del Portogallo, l’apporto di grassi totali e di grassi saturi è sempre abbastanza alto, fino ad arrivare rispettivamente al 46% e al 15% dell’energia (2).

Il consumo di prodotti lattiero caseari con­tribuisce certamente al carico complessivo di grassi e di grassi saturi, ma generalmen­te nella misura del 20-25%, con l’eccezio­ne della Norvegia, Paese nel quale i pro­dotti lattiero caseari contribuiscono per quasi la metà (2).

A parte queste considerazioni, comunque i grassi sono i macronutrienti con il maggio­re apporto calorico per unità di peso e questo si aggiunge alle motivazioni sulla raccomandazione di contenere questi nu­trienti per una dieta migliore.

In Europa, tra i primi documenti disponibili sulle racco­mandazioni per corretti stili di vita ricordia­mo EURODIET (3), che suggerisce un ap­porto di grassi totali inferiore al 30%, me­glio 25% se sedentari, e per i saturi un con­sumo inferiore al 10% dell’energia.

Nelle linee guida statunitensi (DGA) già dagli anni ’80 (4, 5) il consumo di grassi rappresentava una delle direttive, la terza, che recitava: “evita troppi grassi, saturi e colesterolo”; negli anni ’90 la raccomanda­zione diventava “scegli una dieta povera di grassi, saturi e colesterolo” (6, 7) ma rima­neva sostanzialmente invariata. Dal 1985 le DGA hanno iniziato a raccomandare il consumo di latticini a basso contenuto di grassi e di contenere i saturi entro il 10% dell’energia.

Queste raccomandazioni so­no grosso modo rimaste in vigore fino ad oggi e sono state “mutuate” anche nell’ul­tima edizione dei LARN (8) e delle Linee Guida italiane (9).

Le Linee Guida statuni­tensi 2020-2025, nel piano alimentare rac­comandato, riportano la seguente frase: “si presume che gli alimenti siano nella ver­sione ricca di nutrienti: magri o a basso contenuto di grassi e preparati con pochi zuccheri aggiunti, amidi raffinati, grassi sa­turi o sodio” (10), come se, per assurdo, i grassi non fossero nutrienti.

Eppure, a dispetto delle raccomandazioni, un numero crescente di evidenze scientifi­che dimostrerebbe che il consumo di latti­cini interi non comporta né un aumento dei markers di rischio cardiometabolico di malattie cardiovascolari e di ictus (11-14), né tanto meno l’obesità (15-17) o il diabe­te di tipo 2 (T2D) (18-21).

Del resto, molti ricorderanno la dieta DASH, quel modello alimentare sviluppato a partire dagli anni ’90 sul modello della dieta mediterranea, con elevato consumo di frutta, verdura e latticini magri e con ridotto apporto di so­dio e grassi saturi, per la prevenzione ed il trattamento dietetico dell’ipertensione ar­teriosa (22).

Ebbene, recentemente uno studio di intervento randomizzato e con­trollato ha chiaramente evidenziato che quando nella dieta DASH si sostituivano i latticini magri con i loro equivalenti interi, riducendo al contempo la quantità di zuc­cheri liberi (sostanzialmente da succhi di frutta e zucchero) per compensare le calo­rie dell’aggiunta di prodotti interi, non solo si otteneva lo stesso effetto di riduzione della pressione arteriosa (effetto dei pro­dotti lattiero caseari), ma allo stesso tempo si riducevano anche altri fattori di rischio cardiovascolare come il livello di trigliceridi (effetto della riduzione degli zuccheri), mentre la colesterolemia totale, il coleste­rolo HDL e quello LDL non mostravano differenze (23).

La sostituzione quindi di poche calorie provenienti da zuccheri libe­ri con calorie da grassi, ancorché saturi, mi­gliora nettamente la dieta e che l’indicazio­ne sulla preferenza di prodotti magri sia dovuta più ad un prudente preconcetto che a reale indicazione.

Un interessante studio di modellizzazione ha valutato quale impatto potesse avere la sostituzione di una delle tre porzioni di latticini a basso contenuto di grassi o senza grassi suggerite dalle DGA per un fabbiso­gno di 2000 kcal, con una porzione di latti­cini interi. Gli Autori (24) hanno ipotiz­zato 7 differenti modelli alimentari, nei quali i saturi fossero contenuti entro il 10% delle calorie totali.

Ovviamente l’aumento dei grassi dovuto alla porzio­ne di latticini interi deve essere com­pensato da una diminuzione di altre ca­lorie, e le calorie più “sacrificabili” sono ovviamente quelle degli zuccheri liberi e dei cereali raffinati, diminuzione che non ha un impatto significativo sul con­tenuto complessivo di nutrienti nella dieta ed è lo stesso approccio che è sta­to utilizzato per lo studio sulla dieta DASH precedentemente citato (23).

Pur trattandosi di teoria e non di intervento sui modelli alimentari reali, i risultati della modellizzazione indicano che, del­le tre porzioni quotidiane raccomanda­te per gli americani, almeno una può essere rappresentata da prodotti interi senza che questo comporti alcun effetto sulle malattie cardiovascolari o sui markers cardiometabolici.

Come av­viene per gli italiani, gli americani non consumano latticini nelle quantità rac­comandate, mentre il rispetto delle Li­nee Guida potrebbe migliorare la salute oltre che comportare un risparmio sulla spesa sanitaria fino a 12,5 miliardi di dollari per il previsto effetto sulla ridu­zione di incidenza di ictus, ipertensione, diabete di tipo 2 e cancro del colon-retto (25).

Poiché la maggior parte dei latticini consumati sia negli USA (26) che in Italia (27) sono prodotti a ridotto contenuto di grassi, o scremati, il consu­mo di latticini interi potrebbe aumenta­re l’appetibilità dei prodotti e favorirne quindi il consumo.

Del resto, alcune autorevoli organizzazioni sanitarie stanno cominciando a includere i latticini interi all’interno dei modelli alimentari salutari: nel 2016, le linee guida nutrizionali del Joslin Diabetes Center, il più grande centro al mondo per la ricerca, la clinica e l’educazione sul diabete, affiliato alla Harvard Medical School, riporta nelle sue Linee Guida l’opportunità di contenere l’apporto di saturi entro il 10% delle calorie totali, ma che “prove recenti dimostrano che i grassi saturi dei latticini (latte, yogurt, formaggio) possono essere accettabili all’interno del totale apporto calorico giornaliero” (28).

E ancora, nel 2019 l’Australian Heart Foundation afferma che non ci sono prove sufficienti per raccomandare prodotti a ridotto contenuto di grassi nella popolazione generale e riservare il suggerimento di consumare latticini a ridotto contenuto di grassi in caso di malattie cardiovascolari e ipercolesterolemia (29).

La visione tradizionale del cibo come veicolo per il recapito di singoli nutrienti sta cambiando, poiché comincia ad essere più chiaro che la dieta influisce sulla salute in più modi rispetto alla semplice fornitura di nutrienti o molecole di interesse nutrizionale.

Un alimento è un insieme multicomponente e multifasico di biomateriali che viene alterato dinamicamente durante i processi di dige­stione e assorbimento e, poiché non è solo veicolo di uno o più nutrienti, la sua struttura influenza il modo tramite il quale i componenti nutritivi vengono digeriti e assorbiti.

L’effetto matrice può alterare la velocità e la modalità di dige­stione e assorbimento di altri nutrienti o componenti ed è uno dei motivi per cui i latticini interi e a ridotto contenuto di grassi possono avere effetti sulla cole­sterolemia e sulle lipoproteine a bassa densità (LDL) diversi da quanto ci si aspetterebbe sulla sola base del loro contenuto di grassi saturi, e ciò è dovuto alla complessità del latte, dei suoi grassi e all’effetto matrice (30).

A cura di: Prof. Andrea Ghiselli, Direttore del Master di I livello in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica Applicata, Unitelma Sapienza, Roma.

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