Le molte virtù del lattosio, lo zucchero benefico
Il lattosio è uno zucchero molto diverso dagli altri: ha un indice glicemico basso, non è cariogeno, non induce reazione di ricompensa, migliora l’assorbimento intestinale del calcio.
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In questo numero parleremo del lattosio, affrontandolo da un punto di vista diverso da ciò che accade solitamente. Vorrei portare alla luce un aspetto poco considerato finora, vale a dire l’effetto nutritivo del lattosio anche in età adulta.
Dell’effetto nutritivo del lattosio nel lattante non si hanno dubbi o incertezze: già il fatto che sia lo zucchero specifico e peculiare del latte, che solo nella mammella esista la lattosio-sintetasi, cioè l’enzima che unisce una molecola di glucosio a una di galattosio attraverso un meccanismo complesso e unico, che esista nell’intestino tenue un meccanismo altrettanto complesso per la sua digestione, che la natura abbia scelto il lattosio come zucchero costitutivo di tutti i latti di mammifero (fanno eccezione i latti di alcuni mammiferi marini, che possiedono, sì, lattosio, ma in quantità bassissime) sono prove dell’importanza in età evolutiva di questo zucchero, che ha sostituito zuccheri più comuni e più antichi in termini evolutivi, che sarebbero presumibilmente idonei a fornire energia al giovane mammifero.
E invece la natura ha “inventato” uno zucchero speciale, forse per motivi di solubilità, magari perché più adeguato di altri al compito di sintesi e di secrezione del latte (1, 2), o magari perché in grado di fornire adeguata energia con un minimo carico osmotico (3), o ancora perché mentre il glucosio fornisce energia, il galattosio va a svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo del cervello (4); non è chiaro il motivo, ma ciò che è indubbio è che il lattosio rappresenta la fonte più importante di energia durante il primo anno di vita, fornendo quasi la metà del fabbisogno energetico totale dei bambini (1).
Insomma, se il lattosio non avesse costituito uno speciale vantaggio selettivo durante il periodo dell’allattamento, lo sviluppo degli intricati meccanismi di sintesi della lattasi nella ghiandola mammaria e della digestione del lattosio nel tratto intestinale sarebbero stati contrari all’economia evolutiva.
Lattosio come spinta evolutiva
Ma ciò che vale per il lattante, vale anche nell’adulto? I mammiferi adulti (non umani) non hanno comunemente accesso al latte nel loro ambiente naturale e la loro capacità di digestione del lattosio diminuisce naturalmente dopo lo svezzamento. La specie umana non fa eccezione generale a questa regola, poiché nella maggior parte degli individui l’attività della lattasi declina già durante la prima infanzia.
Tuttavia, nella specie umana ha avuto luogo una mutazione genetica tale da essere trasmessa, in seguito alla quale alcuni individui mantengono la capacità di digerire il lattosio anche in età adulta. Il passaggio al consumo di latte animale al di là della prima infanzia, dev’essere stato estremamente importante nella storia evolutiva dell’uomo, poiché ha guidato una selezione intensa per la persistenza della lattasi, un adattamento genetico di alcune popolazioni in Africa e in seguito in Asia ed Europa che ha consentito a queste persone di mantenere la capacità digestiva del lattosio nell’età adulta. La forte selezione di alleli che conferiscono la persistenza enzimatica rappresenta uno degli esempi più chiari di coevoluzione genetica-cultura (5-7), che ha consentito una delle più profonde rivoluzioni nella dieta umana dall’emergere dell’agricoltura.
Il consumo di latte (e di specie non umane) al di là del primo anno e oltre l’età infantile è quindi un comportamento adattativo tipico e unico dell’Homo sapiens, che ha portato importanti implicazioni per la salute, per la sopravvivenza e per l’evoluzione. Il latte è ricco di proteine, grassi e micronutrienti e, in particolare negli ambienti aridi, fornisce un modo importante per convertire le scarse risorse naturali in una fonte di cibo portabile e rinnovabile. Il latte ha offerto anche l’opportunità di uno svezzamento precoce che ha portato ad una riduzione dell’intervallo tra le nascite, con significative implicazioni demografiche. A questo potrebbe avere contribuito anche l’aumento di fertilità derivato dal grasso del latte (8).
Non è ancora chiaro se sia stato il consumo di latte a guidare la selezione per la persistenza della lattasi nell’adulto, o se ad incoraggiare il consumo di latte sia stata la persistenza della lattasi, allora con frequenze molto più basse di quelle odierne, e quali pressioni selettive abbiano poi spinto la persistenza a frequenze così elevate come le riscontriamo attualmente.
Sappiamo che molte popolazioni avevano imparato a trasformare il latte con fermentazioni “esterne” e che quindi avrebbero potuto approfittare delle qualità nutritive del latte attraverso il consumo di yogurt o formaggio (9-11), ma anche attraverso adattamenti del microbioma (12) senza quindi dover per forza consumare latte fresco (che oltretutto era estremamente poco conservabile nel clima della mezzaluna fertile).
È probabile che un ruolo determinante sia stato giocato dal contenuto di acqua del latte, che lo rendeva una fonte migliore di molte fonti contaminate: una ipotesi molto accreditata vuole che, in ambienti aridi, il contenuto di acqua del latte fresco aumenti le possibilità di sopravvivenza dei bevitori di latte, che sono in grado di digerire il lattosio, mentre la diarrea da maldigestione che segue l’assunzione di latte da parte dei soggetti intolleranti avrebbe aggravato il già precario stato di nutrizione e di idratazione dei pastori e questo dovrebbe avere esercitato una fortissima pressione selettiva.
Questa ipotesi è anche supportata dalle alte frequenze di adulti con permanenza della lattasi osservate in gruppi di pastori provenienti da aree calde, ad esempio i beduini, i tuareg e i fulani in Medio Oriente e nell’Africa del Nord (13).
Bleasdale e collaboratori (14), mediante utilizzo di tecniche di cromatografia liquida/spettrometria di massa, hanno identificato tracce di proteine del latte nel tartaro di individui vissuti almeno 6000 anni fa nell’Africa nord-orientale, dimostrando quindi che gruppi di pastori in quest’area consumavano latte già agli albori della pastorizia, epoca nella quale l’adattamento genetico per la digestione del latte era assente o raro.
Il consumo di latte è stata quindi una componente diffusa e persistente dei primi modi di vita dei pastori ed è probabile che gli apporti calorici e nutrizionali del latte fossero effettivamente necessari per la sopravvivenza dei primi pastori africani durante l’espansione nelle regioni aride prima dell’avvento di una agricoltura vegetale diffusa.
Periodi di siccità e aumento delle zone desertiche, che circa 4500 anni fa si sono verificati nell’Africa orientale (15), potrebbero aver costituito il collo di bottiglia necessario per una rapida selezione degli alleli determinanti la persistenza della lattasi in queste popolazioni di pastori. In tale scenario, una maggiore capacità di digerire i prodotti lattiero-caseari durante e dopo l’adolescenza avrebbe aumentato significativamente le possibilità di raggiungere l’età riproduttiva e trasmettere la mutazione.
Autore: PROF. ANDREA GHISELLI, Medico Internista, Presidente SISA – Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione
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Il lattosio è uno zucchero molto diverso dagli altri: ha un indice glicemico basso, non è cariogeno, non induce reazione di
ricompensa, migliora l’assorbimento intestinale del calcio. E, soprattutto, svolge un’azione bifidogenica, migliorando il
microbiota intestinale soprattutto nei soggetti con ridotta capacità di digerirlo.