Lattosio come prebiotico
Il latte, probabilmente a causa del suo contenuto di lattosio e oligosaccaridi, è bifidogeno, stimola cioè la produzione di bifidobatteri determinando così un microbiota intestinale più salutare.
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La fibra alimentare è tradizionalmente considerata di origine vegetale, anche se sono state avanzate proposte per includere nella definizione di fibra anche le porzioni di carboidrati non digeribili proveniente da alimenti di origine animale (27); tuttavia, la comunità scientifica non ha dato poi seguito a queste proposte e non sono state effettuate ricerche significative su fonti non vegetali di carboidrati resistenti alla digestione. Ma un’azione del lattosio come fibra alimentare è stato riportato nella letteratura scientifica, pur se solamente in un vecchio lavoro in lingua tedesca (28), non ripreso da ulteriori ricerche.
Secondo i LARN (29) “la fibra alimentare è rappresentata da una varietà di molecole con differenti proprietà chimico-fisiche a cui corrispondono proprietà fisiologiche diverse. Esse sono resistenti all’idrolisi e all’assorbimento nell’intestino tenue e arrivano al colon sostanzialmente immodificate”. Indipendentemente quindi dal fatto se siano o meno di origine vegetale e pertanto si può pensare ad assimilare il lattosio ad una fibra alimentare. Ad ogni modo, fibra o no, quello che ormai è certo è la capacità del lattosio di comportarsi da prebiotico (al pari delle fibre alimentari). Le quote di lattosio che sfuggono alla digestione poiché assunte in quantità superiori alle capacità digestive, infatti, raggiungono il colon dove aumentano il contenuto di acqua delle feci, riducono il tempo di transito nei soggetti con stipsi e svolgono attività prebiotica (30).
Il lattosio non digerito infatti dopo essere arrivato nel colon servirà come substrato per la flora intestinale, potenziando le attività saccarolitiche e favorendo la crescita di bifidobatteri e lattobacilli.
È noto che i meccanismi alla base degli effetti benefici per la salute dei prebiotici sono legati proprio alle attività saccarolitiche, che conducono alla riduzione del pH del colon e alla formazione di acidi grassi a catena corta. Le attività saccarolitiche sopra descritte sono al tempo stesso anti-proteolitiche, reazioni queste ultime spesso associate alla formazione di metaboliti batterici tossici, come ammoniaca, acido solfidrico, composti fenolici e ammine biogene (31).
Il lattosio viene prima idrolizzato dalla (fosfo-)β-galattosidasi batterica in glucosio e galattosio con produzione finale di acidi grassi a catena corta (principalmente acetato per circa il 50% e poi, propionato e butirrato) e gas (CO2, H2 e CH4). Gli acidi grassi a catena corta vengono utilizzati come substrato energetico sia da parte del microbiota che da parte dei colonociti. Il rimanente viene assorbito e trasportato al fegato dove può svolgere ruoli di regolazione metabolica.
Il latte, probabilmente a causa del suo contenuto di lattosio e oligosaccaridi, è bifidogeno, stimola cioè la produzione di bifidobatteri determinando così un microbiota intestinale più salutare (32). Poiché i bifidobatteri intestinali tendono a diminuire con l’età, così come la capacità di digestione del lattosio, questo effetto prebiotico del lattosio può avere un ruolo importante lungo tutto l’arco della vita ma soprattutto nell’anziano contrastando il fenomeno della immuno-senescenza (33).
È quindi lecito attribuire al lattosio la caratteristica di prebiotico condizionale, vale a dire in funzione della capacità dell’individuo di digerire il lattosio. Maggiore sarà la quantità di lattosio che arriverà indigerita nel colon, maggiore sarà l’effetto probiotico. Ecco che la mal digestione del lattosio, ritenuta finora la problematica principale per il consumo di latte, assume la veste di una grande opportunità, alla luce delle evidenze scientifiche.
Le raccomandazioni sul consumo di zuccheri
Alla luce di tutto ciò che abbiamo riportato in questo numero dobbiamo quindi considerare il lattosio come uno zucchero speciale, degno di un trattamento diverso perché zucchero che, diversamente dagli altri, esercita effetti benefici per l’uomo ed è quindi correlato in maniera inversa e non diretta alle patologie croniche.
Per questo motivo le raccomandazioni alla limitazione del consumo di zuccheri si riferiscono a quelli che vengono definiti “zuccheri liberi”: glucosio, fruttosio, saccarosio, sciroppi, miele e succhi di frutta, non agli zuccheri contenuti naturalmente negli alimenti come frutta e latte. L’OMS nella sua raccomandazione sul consumo di zucchero (34) suggerisce un consumo di zuccheri liberi 1 inferiore al 10% delle calorie complessive della dieta, meglio ancora se inferiore al 5%.
Le raccomandazioni dei vari Paesi, così come le raccomandazioni sovranazionali (EFSA per esempio) e delle società scientifiche, dividono infatti nettamente gli zuccheri provenienti dalla frutta, chiamati spesso intrinsechi e quelli del latte, chiamati a volte intrinsechi e a volte estrinsechi, dagli altri zuccheri. In alcune linee guida gli zuccheri liberi vengono proprio definiti “Non Milk Extrinsic Sugars” proprio per distinguerli nettamente ed escluderli dalle restrizioni.
Purtroppo al momento le normative vigenti sull’etichettatura degli alimenti (regolamento europeo 1169 del 2011) non distinguono tra zuccheri totali e zuccheri liberi, mettendoli tutti allo stesso livello, col risultato che gli zuccheri liberi sono trattati allo stesso modo di quelli naturalmente presenti in frutta e latte (sui quali non c’è raccomandazione al contenimento, anzi). Così permanendo le cose, l’etichetta di uno yogurt alla frutta, per fare un esempio, riporterà un contenuto di zuccheri in generale abbastanza elevato, ingannando il consumatore poiché solamente una piccola parte di quegli zuccheri sono quelli cui prestare particolare attenzione e non quelli della frutta o del latte, che al contrario esercitano un’azione benefica per la salute.
1 Il termine “zuccheri liberi” include i mono- saccaridi e i disaccaridi aggiunti ad ali- menti e bevande dal produttore, cuoco o consumatore e gli zuccheri naturalmente presenti nel miele, sciroppi succhi e con- centrati di frutta.
Conclusioni
Alla luce delle varie azioni del lattosio che sono state passate in rassegna in questo numero, emerge quindi che è uno zucchero molto diverso dagli altri: ha un indice glicemico basso, non è cariogeno, non induce reazione di ricompensa, migliora l’assorbimento intestinale del calcio e soprattutto svolge un’azione bifidogenica, migliorando il microbiota intestinale soprattutto nei soggetti con ridotta capacità di digerirlo.
Anche le persone con ridotta capacità di idrolizzare il lattosio sono in genere in grado di consumare senza sintomatologia rilevante una tazza di latte (12 g di lattosio), con una opportunità in più, non solo per godere del potere nutritivo del latte, ma per approfittare dell’effetto prebiotico del lattosio.
Per le persone poi che manifestano comunque sintomi, oggi sono disponibili sul mercato prodotti a basso contenuto o senza lattosio, dove la sola differenza rispetto al latte convenzionale consiste nel fatto che il lattosio è già idrolizzato in glucosio e galattosio. A tutti è offerta l’opportunità di non rinunciare al potere nutritivo del latte.
Autore: PROF. ANDREA GHISELLI, Medico Internista, Presidente SISA – Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione
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microbiota intestinale soprattutto nei soggetti con ridotta capacità di digerirlo.