Intolleranza al lattosio e diabete di tipo 2: il ruolo protettivo del latte
La prevenzione del diabete può beneficiare in modo considerevole del mantenimento di una alimentazione sana ed equilibrata, nell’ambito della quale latte e prodotti lattiero-caseari costituiscono un importante componente.
SOMMARIO USCITA 103:
- Quali sono le ragioni alla base di queste importanti differenze?
- Ma cosa accade nei soggetti che producono sempre meno enzima lattasi?
Un gruppo di ricercatori ha recentemente pubblicato su Nature l’evidenza secondo cui il consumo di latte potrebbe contribuire a ridurre il rischio di diabete di tipo 2 (T2D) tra gli adulti con intolleranza al lattosio. Potrebbe apparire come un paradosso, ma lo studio condotto presso Harvard e l’Einstein College di New York su oltre 16.000 adulti ispanici e latini provenienti da quattro comunità statunitensi, ha dimostrato che, nelle persone con specifica carenza genetica dell’enzima Lattasi, può esservi in effetti tale possibilità.
Il diabete, in particolare quello di tipo 2, rappresenta un disturbo metabolico che ha raggiunto ormai la dimensione di una vera e propria epidemia. Per le sue peculiarità, la prevenzione di questa malattia può beneficiare in modo considerevole del mantenimento di una alimentazione sana ed equilibrata, nell’ambito della quale latte e prodotti lattiero-caseari costituiscono un componente importante. (1)
Il latte è un alimento incluso nella dieta umana, ma la relazione tra il suo consumo e il diabete di tipo 2 è stata per anni controversa. Gli effetti del consumo di latte sul rischio di Diabete di Tipo 2 possono, tuttavia, variare in modo molto ampio nella popolazione soprattutto in relazione a differenze etniche e di abitudini alimentari. (2, 3) Gli studi condotti sui popoli dell’Asia Orientale evidenziano, ad esempio, una non trascurabile associazione protettiva tra il consumo di latte e il rischio di Diabete di Tipo 2, mentre, paradossalmente, un rischio più elevato associato al maggiore consumo di latte è stato documentato tra le popolazioni di origine prevalentemente caucasica.
La capacità di produrre lattasi nell’adulto varia in base ad ETNIA e ALIMENTAZIONE
Il consumo di Latte nelle persone con Lattasi Non Persistenza è associato a minor rischio di DIABETE DI TIPO 2
I BIFIDOBATTERI del microbiota hanno un ruolo determinante nel co -metabolismo del lattosio
Il MICROBIOTA intestinale nella Lattasi Non Persistenza fornisce protezione dal Diabete di Tipo 2
Quali sono le ragioni alla base di queste importanti differenze?
Per rispondere a questa domanda è necessario approfondire alcuni aspetti relativi al metabolismo del lattosio, lo zucchero (disaccaride) principale contenuto nel latte.
Per essere assorbito dall’intestino il lattosio necessita di una scissione, operata dall’enzima Lattasi, che lo converte negli zuccheri semplici (monosaccaridi) Glucosio e Galattosio. La produzione dell’enzima Lattasi nei mammiferi è, tuttavia, limitata al periodo che va dalla nascita allo svezzamento. Le forti differenze individuali nella capacità di digerire il latte nell’essere umano dipendono esattamente dalla diversa capacità che alcuni individui hanno nel continuare a produrre l’enzima anche nel corso dell’età adulta. Tale fenomeno, che interessa circa il 35% degli esseri umani, viene chiamato Lattasi Persistenza. (4)
È interessante notare come la distribuzione geografica del fenomeno della Lattasi-Persistenza sia strettamente correlato al consumo regolare di latte nella dieta dell’adulto, come è possibile apprezzare nella figura 1.
«Le persone caratterizzate dalla non persistenza della lattasi (LNP) mostrano una diminuzione della produzione di questo enzima, normalmente presente nei bambini e gradualmente prodotto in quantità sempre più limitate fino all’età adulta. In questo scenario la composizione del microbiota intestinale assume un ruolo determinante, contribuendo in modo importante alla produzione di sostanze capaci di influenzare in modo positivo lo stato metabolico del soggetto, riducendo nel suo complesso il rischio di Diabete di Tipo 2″
Spiega il coordinatore dello studio, il dr. Qibin Qi del Dipartimento di nutrizione e Salute Pubblica di Harvard.
Ma cosa accade nei soggetti che producono sempre meno enzima lattasi?
I sintomi della Lattasi Non Persistenza, condizione comunemente nota come Intolleranza al Lattosio in cui l’enzima lattasi non viene più prodotto in modo significativo, derivano dal fatto che il lattosio non digerito, una volta giunto nel colon, crea un gradiente osmotico che richiama una grande quantità di acqua, innescando così fenomeni diarroici talvolta anche importanti. Il lattosio non digerito, inoltre, viene metabolizzato dai batteri della flora intestinale che, a loro volta, producono diversi metaboliti tra cui acidi grassi e notevoli quantità di gas, responsabili di gonfiore addominale e flatulenza. (4)
I sintomi della Lattasi Non Persistenza risentono molto delle differenze individuali nella composizione della flora batterica, accentuandosi chiaramente nelle condizioni di squilibrio del microbiota e in abbondanza di batteri fermentatori. Anche nelle persone che continuano a produrre l’enzima in età adulta si possono osservare significative differenze a seconda del tipo di enzima prodotto: esistono, infatti, diverse forme (fenotipi) dell’enzima lattasi distribuite in modo diverso a seconda delle popolazioni e delle aree geografiche di residenza. (6-8)
È documentato che la frequenza di Lattasi Persistenza varia sostanzialmente tra le popolazioni: altamente diffusa nelle popolazioni caucasiche non ispaniche, appare generalmente rara (o addirittura assente) negli asiatici orientali e in alcune popolazioni africane. (6-8)
A cura della Redazione.
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