Fonti di grasso alimentare e infiammazione
Alcuni fattori dietetici, o alcuni modelli alimentari, hanno una notevole capacità di influenzare il sistema immunitario e modulare lo stato di infiammazione cronica sistemica di basso grado
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Come si vede in Figura 2 l’infiammazione può essere innescata da acidi grassi saturi a catena lunga attraverso l’attivazione della segnalazione TLR4 nella microglia, che porta al rilascio di citochine, al reclutamento di monociti e all’attivazione di serina/treonina chinasi intracellulare nei neuroni ipotalamici, che possono interferire con le proteine chiave dei sistemi di segnalazione della leptina e dell’insulina, interrompendo quindi i segnali adipostatici [28].
Come espresso anche in precedenza, uno stimolo acuto (pasto ricco di grassi) può essere in certo modo compensato in modo da ristabilire l’omeostasi, ma un consumo abbondante e prolungato nel tempo non permette la fase di risoluzione dell’infiammazione e il danno neuronale si cronicizza, con il risultato di una mancata risposta alla sazietà e ai fattori adipostatici, provocando predispo-sizione all’obesità.
Al contrario, gli acidi grassi a corta e media catena hanno vie metaboliche diverse: sono assorbiti in maniera efficiente nel tratto gastrointestinale e trasportati direttamente al fegato per una rapida ossidazione [28].
A differenza degli acidi grassi a catena lunga, gli acidi grassi a catena media e corta hanno dimostrato una serie di potenziali benefici per quanto riguarda gli esiti metabolici (Figura 2) [29]. Gli acidi grassi a catena media che provengono dai prodotti lattiero-caseari sovraregolano i geni correlati al ciclo dell’acido citrico e alla fosforilazione ossidativa (per lo più riguardante il metabolismo energetico nel tessuto adiposo) e sottoregolano i geni correlati al sistema del complemento e all’infiammazione [30].
Tra questi acidi grassi a corta catena, l’acido butirrico esercita una serie di funzioni nell’intestino, agendo come un inibitore dell’istone-deacetilasi e un agonista di specifici recettori accoppiati alle proteine G, dimostrando effetti benefici sugli esiti metabolici (cioè, miglioramento del metabolismo del glucosio, aumento dispendio energetico totale, livelli più bassi di lipidi nel sangue, ecc.).
Nei prodotti lattiero-caseari, inoltre, è presente un particolare gruppo di grassi saturi: gli acidi grassi a catena ramificata (BCFA), componenti alimentari bioattivi che costituiscono circa il 2% degli acidi grassi del latte vaccino. Sono grassi saturi con una o più ramificazioni sulla catena del carbonio, derivati dall’azione dei batteri del rumine; sono costituenti lipidici strutturali delle membrane dei batteri presenti nel rumine (e responsabili di caratteristiche strutturali come fluidità e permeabilità) che vengono successivamente assorbiti e incorporati nei grassi del latte [31].
Nella dieta umana l’assunzione di BCFA avviene principalmente attraverso il latte e i prodotti di derivazione e questi particolari acidi grassi possono spiegare, almeno in parte, i benefici per la salute associati a tale gruppo di alimenti anche (non solo) per ciò che attiene all’infiammazione. Infatti, diversi studi su varie linee cellulari hanno dimostrato che gli effetti antinfiammatori dei prodotti lattiero-caseari e dei BCFA potrebbero essere spiegati attraverso l’inibizione dell’espressione genica indotta da LPS delle classiche vie di trascrizione pro-infiammatoria (NF-kB e TLR) [32, 33].
Queste evidenze sono state confermate anche nel modello animale, in particolare su topi nutriti con BCFA che hanno mostrato una minore incidenza di enterocolite necrotizzante e una maggiore espressione di IL-10 [34], mentre gli studi sull’uomo, pur se sono piuttosto scarsi, dimostrano una correlazione inversa tra livelli ematici BCFA e livelli di CRP [35], confermando quindi uno dei meccanismi attraverso i quali i prodotti lattiero-caseari esercitano il loro effetto antiinfiammatorio.
Conclusioni
In conclusione, stanno emergendo sempre maggiori evidenze sugli effetti di alcuni alimenti e modelli alimentari sul sistema immunitario e sull’infiammazione di basso grado, anche se i meccanismi rilevati al momento rivelano una complessità maggiore a fronte di una maniera troppo semplicistica con la quale finora è stato trattato l’argomento. Tuttavia, incertezze a parte, ci sono evidenze di un certo peso che indicano in alcuni fattori dietetici, o in alcuni modelli alimentari, una notevole capacità di influenzare il sistema immunitario e modulare lo stato di infiammazione cronica sistemica di basso grado.
Anche considerando quindi l’infiammazione cronica di basso grado, i modelli alimentari a prevalente ma non esclusiva componente vegetale (come la dieta mediterranea), che si avvalgano anche degli effetti salutari di fonti proteiche animali come quelle dei latticini, sembra possano rappresentare una strategia cruciale per la riduzione del rischio di malattie non trasmissibili.
Autore: PROF. ANDREA GHISELLI, Medico Internista, Presidente SISA – Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione
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