Mai considerare un cibo per gli effetti di un singolo nutriente
I grassi saturi non sono tutti uguali: tutto dipende dalle quantità assunte, dall’equilibrio tra i nutrienti e dal cibo in cui sono contenuti.
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In quest’ultimo decennio, con il bagaglio scientifico apportato dagli studi sulla morbilità/mortalità cardiovascolare correlata all’apporto di grassi saturi, ma anche sulla valutazione dei loro effetti negli studi prospettici di coorte, si sta affrontando la questione da angolature più articolate. In particolare, si rende necessaria una visione più ampia dei biomarcatori delle malattie cardiovascolari, inclusi quelli genetici e metabolici. Gli effetti sulla salute degli acidi grassi saturi possono, infatti, essere diversi da individuo a individuo.
Le attuali raccomandazioni relative alla riduzione dei grassi saturi totali senza considerare gli acidi grassi specifici e le fonti di cibo da cui provengono, secondo gli autori della review citata sono fuorvianti e possono essere addirittura controproducenti.
Gli acidi grassi saturi presenti negli alimenti, infatti, hanno caratteristiche chimiche e strutturali diverse, così come diversi sono i loro effetti biologici.
La differenza principale riguarda il numero di atomi di carbonio che distinguono gli acidi grassi in catena corta (4-6 atomi di carbonio) come l’acido butirrico, media (8-12 atomi di carbonio) come l’acido laurico, o lunga (14-20 atomi di carbonio) come l’acido palmitico e lo stearico.
Gli acidi grassi saturi a catena corta come quelli presenti naturalmente nel burro, per esempio, non solo rappresentano una fonte energetica a rapida disponibilità (non necessitano di essere incorporati nelle lipoproteine) ma mostrano anche effetti favorevoli sulla salute come la modulazione dell’infiammazione. La produzione di questi acidi grassi è, infatti, uno degli aspetti metabolici più importanti del microbiota (11).
Vale la pena ricordare anche che gli acidi grassi saturi a catena lunga come l’acido miristico, lo stearico e soprattutto il palmitico, non sono solo veicolati dai cibi di origine animale (nel caso del miristico, sono l’olio di cocco e di palma vegetali le fonti più ricche!), ma sono in buona parte sintetizzati a partire da carboidrati e proteine. La correlazione tra questi acidi grassi e le specifiche patologie non fornisce indicazioni sull’effetto diretto degli alimenti, ma piuttosto sull’eccesso calorico complessivo e quindi sulla loro aumentata sintesi endogena.
Nei latticini e negli alimenti ottenuti dai ruminanti, inoltre, sono contenuti acidi grassi saturi a catena ramificata che li accomuna, dal punto di vista funzionale, ai polinsaturi. Questi stessi acidi grassi sono presenti nell’intestino dei bambini dove sembrano avere un ruolo positivo nel processo di colonizzazione intestinale. Non ultimo, la ricerca recente sta mettendo in luce come un consumo regolare e moderato di latticini contribuisca a tenere sotto controllo il rischio cardiovascolare e metabolico (12). Questi esempi sono sufficienti a chiarire un concetto chiave: è il cibo nel suo complesso a fare la differenza sulla salute e non la somma degli effetti parziali di ciascun nutriente.
Secondo dati raccolti nell’ambito dell’indagine INRAN-SCAI 2005-06, i latticini, sebbene ricchi di grassi saturi (per oltre il 50% del totale), sono anche fonti importanti di grassi mono e polinsaturi, apportano più della metà della quota proteica della dieta (caseina e proteine del siero dall’azione funzionale) e contribuiscono all’assunzione di calcio e fosforo e vitamine A, D e del gruppo B.
La dieta mediterranea non è “magra”
Gli autori della review hanno tratto le conclusioni esaminando con attenzione anche i risultati del più grande studio prospettico randomizzato controllato sulla correlazione tra dieta mediterranea e malattie cardiovascolari (Prevenciòn con Dieta Mediterrànea) condotto in Spagna. Tale lavoro, pubblicato nel 2013, fu riassunto e divulgato dai media con il titolo “la dieta mediterranea riduce di un terzo il rischio di attacchi di cuore e ictus”.
I 7.447 partecipanti, di età compresa tra 55 e 80 anni e ad alto rischio di CVD, sono stati suddivisi in 3 gruppi: dieta mediterranea integrata con olio extravergine di oliva; dieta mediterranea integrata con frutta secca a guscio e dieta di controllo a basso contenuto di grassi. Ebbene, il rischio relativo per CVD è risultato ridotto di circa il 35% tra i 2 gruppi che hanno seguito la dieta mediterranea arricchita in grassi rispetto al gruppo che seguiva una dieta ipolipidica. Nei Paesi mediterranei, è bene ricordare che i latticini rientrano tra le abitudini tradizionali con un consumo praticamente quotidiano e che l’olio di oliva rappresenta il grasso alimentare di base (con un contenuto di saturi pari al 15% circa del totale, diventa una delle fonti quotidiane di questi acidi grassi).
Concludendo: non tutti i grassi saturi sono uguali e non tutti i grassi saturi sono dannosi. Alcuni, per le loro proprietà, sono da preferire ad altri. E poi, tutto dipende dalle quantità e dalla frequenza di consumo: un alimento “poco” sano mangiato tutti i giorni determinerà effetti ben diversi rispetto allo stesso cibo mangiato di tanto in tanto.
Autore: SAMANTHA BIALE, nutrizionista e giornalista
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I tanto temuti grassi saturi non sono tutti uguali e, soprattutto, non hanno il medesimo effetto sull’organismo. Tutto dipende dalle quantità assunte, dall’equilibrio tra i nutrienti e dal cibo in cui sono contenuti.