Intolleranze? Un po’ di chiarezza
Le linee guida per una sana alimentazione italiana (1) consigliano, per i prodotti lattiero caseari, il consumo di 3 porzioni di latte o yogurt al giorno ai quali aggiungere, mediamente, 3 porzioni di formaggio alla settimana *.
Il latte ed i suoi derivati rappresentano, infatti, uno dei cinque gruppi di alimenti la cui presenza quotidiana sulla tavola facilita la realizzazione di una dieta completa ed adeguata.
Da tali premesse si capisce come l’esclusione di alimenti importanti come questi possa avere seri svantaggi dal punto di vista nutrizionale e debba quindi essere valutata con attenzione anche in presenza di possibili intolleranze, come quella al lattosio (vedi box).
A conferma, basti citare alcuni dati evidenziati dalla letteratura.
È stato per esempio riportato che i bambini ai quali viene prescritta una dieta a basso contenuto di lattosio introducono quantitativi di calcio inferiori rispetto a quelli raccomandati per la crescita e la mineralizzazione ossea (2) e che, nei giovani adulti, l’intolleranza al lattosio può rappresentare un ostacolo al raggiungimento del picco di massa ossea, potendo quindi predisporre all’osteoporosi (3).
Anche studi condotti su adulti e anziani evidenziano che coloro che si considerano intolleranti al latte hanno maggiori probabilità di evitare questo alimento e tendono a non fare alcuno sforzo per consumare sufficienti quantità di calcio (4,5).
Infine, in uno studio condotto negli USA su quasi 300 ragazze di 10-13 anni di età, si è visto che, indifferentemente dallo stato di maldigestione al lattosio, le ragazze che si percepivano intolleranti al latte avevano apporti di calcio più bassi (in media di 212 mg al giorno) rispetto a quelle che non avevano tale percezione. Le prime mostravano anche un contenuto minerale osseo a livello della colonna vertebrale significativamente più basso rispetto alle seconde.
*Una porzione di latte o yogurt è pari a 125 grammi, una porzione di formaggio è pari a gr. 100 se fresco e a gr.50 se stagionato.
Tutto questo ci conferma come il problema di una eventuale intolleranza vada affrontato nel modo giusto, evitando restrizioni che non siano davvero necessarie.
Ma che dire, allora, di tutte quelle “esclusioni” che vengono suggerite sulla base di test sempre più di moda, molto utilizzati anche nel campo del sovrappeso?
Su questo argomento abbiamo chiesto il parere del professor Claudio Ortolani, direttore dell’Istituto Allergologico Lombardo di Cesano Boscone (MI), autore del Commento Autorevole di questo numero.
Il “commento autorevole”
Professor Claudio Ortolani (Direttore dell’Istituto Allergologico Lombardo di Cesano Boscone, Milano)
“L’intolleranza al lattosio è una condizione comune, presente in gran parte della popolazione. L’età di comparsa varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza: negli asiatici si manifesta già a 5 anni e colpisce fino al 90% degli individui, negli africani compare entro i 10 anni e si manifesta nel 70 – 80% delle persone, in Europa invece essa compare generalmente dopo i 20 anni. La più bassa prevalenza europea è al Nord (5%), mentre in centro europa è del 20% e a Sud raggiunge il 70%.
Vi è anche una forma transitoria che si verifica dopo gravi gastroenteriti e diarrea. I sintomi di questa forma si risolvono dopo 5-7 giorni.
Il lattosio è il principale carboidrato presente nel latte di mucca e di altri mammiferi, compreso il latte umano. Esso viene scisso nell’intestino in due zuccheri semplici, glucosio e galattosio, dall’enzima lattasi o beta-D-galattosidasi. Glucosio e galattosio una volta prodotti vengono facilmente assorbiti dall’intestino tenue.
In mancanza della lattasi il lattosio non viene scisso e procede dall’intestino tenue fino al colon dove i batteri lo trasformano in gas idrogeno e acidi organici. Il gas produce distensione dell’intestino ed è la causa di sintomi quali: gonfiore dell’addome, dolori, spasmi intestinali e diarrea.
La lattasi è presente in tutti gli individui normali alla nascita e nei primi anni di vita essendo questo enzima indispensabile alla vita, dato che il nutrimento umano è basato sull’allattamento materno. L’enzima in seguito tende a scomparire. In tempi remotissimi, con l’introduzione dell’allevamento e conseguente consumo di latticini, si sono evoluti individui con persistenza della lattasi.
Le differenze citate tra le popolazioni si spiegano quindi su complesse combinazioni genetiche.
La forma secondaria a malattie intestinali può invece comparire ad ogni età ma è particolarmente frequente nei bambini sotto i 2 anni. Il test più utilizzato per la diagnosi è il test dell’idrogeno espirato o “ breath test” che è di facile e rapida esecuzione. In pratica il paziente, dopo assunzione di una dose di lattosio, soffia in un boccaglio dotato di un sensore per l’idrogeno.
Se vi è l’intolleranza il gas idrogeno prodotto nel colon viene espirato dai polmoni ed è quindi rilevato dal sensore dell’apparecchio che così permette di fare la diagnosi. Se questa viene confermata, si procede con esclusione del lattosio fino a completa risoluzione della sintomatologia. Si deve anche fare attenzione ai cibi che possono contenere lattosio in forma di additivo come ad esempio alcuni tipi di pane o di biscotti, le merendine, i canditi, le salse preparate, ecc.
Può essere utile l’assunzione prima di un pasto contenente lattosio di una tavoletta masticabile di lattasi derivata dal lievito, reperibile in farmacia. Nei negozi di alimentari è facile trovare alimenti a basso contenuto di lattosio (es il latte). Lo yogurt è generalmente ben tollerato ed anche i formaggi stagionati a pasta dura ed extradura.
Dopo un periodo di esclusione del lattosio e dopo la scomparsa dei sintomi è possibile reintrodurre modeste quantità di latte e di latticini senza che i sintomi si ripresentino: possono infatti venir tollerati fino a 240 ml di latte (12 g di lattosio) al giorno senza disturbi. Sono invece pochissimi i casi in cui la dieta deve essere priva di lattosio: quando ciò si verifica, va tenuto ben presente che il latte e latticini sono una fonte importante di calcio e che il lattosio favorisce l’assorbimento di molti minerali tra cui il calcio. Sarà importante quindi integrare la dieta con un corretto apporto di calcio.
In sostanza, l’intolleranza al lattosio produce sintomi localizzati, non particolarmente gravi, dipende dalla quantità assunta e, superata la fase acuta, piccole dosi di latte vengono per lo più tollerate.
Si tratta quindi di una situazione ben diversa rispetto a quella che si verifica, invece, nelle allergie, come quella alle proteine del latte. In questo caso, infatti, alcune proteine definite “allergeniche” provocano, negli individui predisposti, la produzione di una vera e propria risposta immunitaria che coinvolge gli anticorpi, appartenenti ad una particolare categoria (classe IgE), e che sono diversi da quelli che ci difendono dalle infezioni.
I sintomi, nel caso dell’allergia alle proteine del latte, come del resto anche agli altri alimenti, sono distribuiti in ogni distretto dell’organismo, spesso gravi e con rischio per la vita, e non dipendono dalla quantità assunta: pertanto l’esclusione dell’alimento deve essere assoluta e mantenuta per tutta la vita.
Oltre all’intolleranza al lattosio e all’allergia al latte vaccino non vi sono altre patologie riconducibili ad intolleranza/allergia al latte.
Tuttavia si sono recentemente diffusi e moltiplicati tutta una serie di metodi diagnostici che dichiarano di fare diagnosi di “intolleranze alimentari”.
I test per riconoscere l’allergia e l’intolleranza al latte devono basarsi su una solida evidenza scientifica, viceversa questi test che pretendono di identificare le “intolleranze alimentari” utilizzano delle procedure basate solo su pure ipotesi senza alcuna conferma scientifica.
Di conseguenza i risultati di questi “test per l’intolleranza alimentare” sono assolutamente non veritieri e la conclusione che molte malattie, come ad esempio l’obesità, dipendano da una intolleranza alimentare rimane puramente fantasiosa”.
Bibliografia
1) Linee guida per una sana alimentazione italiana. INRAN MIPAF rev. 2003
2) Stallings VA, Oddleifson NW, Negrini BY, Zemel BS, Wellens R. Bone mineral content and dietary calcium intake in children prescribed a low-lactose diet. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 1994;18 :440
3) Di Stefano M, Veneto G, Malservisi S, et al. Lactose malabsorption and intolerance and peak bone mass. Gastroenterology. 2002;122 :1793 ñ1799[CrossRef][ISI][Medline]
4) Elbon, S.M.:Johnson, M.A.: Fischer, J.G. : Searcy, C.A, The influence of perceived milk intolerance on dairy product consumption in older American adults. J-nutr-elder. Binghamton, N.Y. : Haworth Press Inc. 1999. v. 19 (1) p. 25-39
5) Savaiano D. Lactose intolerance: a self-fulfilling prophecy leading to osteoporosis? Nutr Rev. 2003 Jun;61(6 Pt 1):221-3
6) Matlik L, Savaiano D, McCabe G, VanLoan M, Blue CL, Boushey CJ Perceived milk intolerance is related to bone mineral content in 10- to 13- year-old female adolescents. Pediatrics. 2007 Sep;120(3):e669-77
7) Montalto M, Curigliano V, Santoro L: Management and treatment of lactose malabsorption. World J Gastroenterol 2006; 14: 187-91[Medline].
Autore: Carla Favaro